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Parco della memoria di Pizzolungo

2010-2011

Noi nel progetto volevamo far vedere il dolore come parte della normalità del paesaggio. Le grandi ferite del progetto sono le ferite iperrealiste di una società in cui la condizione del futuro e del lavoro di molti è emarginata. Sono i tagli che il tempo ha assorbito, sono parte del paesaggio, tagli che appaiono e che il nostro averli accettati come normali ce li rende orridi quando li guardiamo realmente come voragini nella normalità del paesaggio, ma sono normali come è diventata normale la nostra vita condizionata da un sistema assurdo che incrementa la corruzione complessiva in percentuali significative ogni anno, che si conforma ai valori di chi ha messo quella bomba. Eppure in qualsiasi condizione del passato ci saremmo resi conto dell’orrido che si insinua lentamente demolendo le difese di un’antica umanità conquistata cancellando uno spirito nazionale che eppure dopo oltre un secolo era stato realizzato. Della anormalità di passare con indifferenza accanto alla morte nessuno se ne accorge ormai era meglio avere un ricordo vecchio e sbiadito. Quella è la struttura estetica, l’eliminare le rughe come sintomo di una bellezza conquistata coi soldi e col potere, queste rughe noi le vogliamo vedere nell’immagine più forte quella dove la morte diventa la normalità di una parete di materiale che sembra la terra rossa ricca di ferro, del sole, del mare che riempie l’aria di odore del silenzio del vento che fa ascoltare il suo suono, dello scuro di polvere da sparo che ha disegnato il camminamento.

Tutto l’abbiamo tenuto nascosto per anni e non sembrava esistere. Sono però rimaste le ferite a ricordarci di avere perso molti anni della nostra vita dietro un potere che ha sfruttato la ricchezza che padri sapienti hanno trasmesso a questo paese. Che non era di chi invece il paese lo ha sfruttato e noi glielo abbiamo consegnato contenti dell’elemosina che ci davano del nostro. Almeno gli ultimi venti di questo paese sono stati uno spostamento delle ricchezze accumulate dalla democrazia.

La mafia è il silenzio accondiscendente e conformista, e il linguaggio di chi ormai non urla troppo, la terra ha acquisito le ferite le ha rese diverse dal primo impatto come se vivere in un sistema come il nostro sia normale. Il senso del progetto sta nell’individuare e ridare il senso alle ferite prendere il modello tranquillizzante, e deformarlo, per non volere accettare di essere complici di chi dopo decenni non fa i conti con la coscienza.

Le ferite sono uno "specchio incassato in una collina di terra rimossa" dove il passaggio del tempo non è mai completamente riuscito a cancellare la tragedia che rimane permanente nella condizione in cui la Sicilia ha vissuto i suoi ultimi anni. Avere accettato la rimozione della tragedia ha significato l’impoverimento generale della nostra società, la mancata crescita culturale ed economica. Ha significato avere usato solo in parte il nostro contenti dell’elemosina del potere. L'avere rimosso il ricordo di questi avvenimenti, rendendoci complici di chi ha avallato questa rimozione è la maggiore responsabilità di tutti i siciliani nei confronti di loro stessi.

Progetto architetto Giovanni Lucentini (capogruppo) con arch. Marcello Calà consulenti Arch. Marcello Ziino e Lucia Gitto.

  

Dimensioni circa 1000 mq.

Costo previsto 280.000 euro

Giovanni Lucentini Piccolo studio di architettura di 7 mq.

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